I sogni dei ciechi. Pensieri, poesie, emozioni di Fabio Sorrentino
1 Marzo 2013
C’è stato un momento in cui, da studente universitario squattrinato, lontano mille chilometri dalla propria casa, ho sofferto letteralmente la fame. Per parecchie settimane mi sono nutrito quasi esclusivamente di un grosso barattolo di miele ricevuto in dono e, non mi vergogno a dirlo, ripescavo gli avanzi gettati dai coinquilini dell’affittacamere in cui alloggiavo. Riguardando le foto di allora ritrovo anche nei miei sorrisi l’ombra scura di quell’incessante patimento alimentare. Ero tutto naso e capelli. Come molti che, ad esempio in tempo di guerra, hanno vissuto un’esperienza del genere, ne sono rimasto profondamente segnato. Tutt’oggi è ancora vivo in me il terrore di ritornare a provare quella fame, non per scelta ma per costrizione, così cerco di mantenere la mia dispensa ed il mio frigo sempre molto ben forniti e non getto mai nulla, ho il più profondo rispetto per ogni briciola di cibo. C’è chi nella vita fa di tutto per avere sempre di più, io sono uno di quelli che fa di tutto per non rimanere senza. Ma quella della fame è un’esigenza molto più viscerale ed ancestrale del bisogno di soldi, agi e perfino dell’amore. Ti divora, ti annichilisce, ti toglie ogni dignità come nient’altro. Cosa mi ha salvato? Un altro tipo d’insaziabile fame. Quella per le parole, per la letteratura, per i miei amatissimi libri. Senza il loro nutrimento allora sì che sarei giunto allo stremo delle forze. Delle magnifiche pagine mi hanno sostentato, confortato e sorretto: Dostoevskij, Moravia, Pirandello, Mann, Hemingway, Garcia Lorca. Ecco perché, a casa mia, come già lo era in quella dei miei genitori, la libreria è il luogo più sacro. La camera da letto e la cucina ricevono luce e calore da lei ed è lì che tutto il mio essere si appaga.