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I SOGNI DEI CIECHI

I sogni dei ciechi. Pensieri, poesie, emozioni di Fabio Sorrentino

Comunque avevo conosciuto un ragazzo, si chiamava...

Comunque avevo conosciuto un ragazzo, si chiamava Rocco, che era bravissimo a giocare a calcio, un vero portento. Nelle nostre partitelle era sempre lui il migliore, un autentico asso. Di solito questi tipi sono un po’ montatelli, sin da giovanissimi, Rocco invece era di un’umiltà disarmante, non pensava a trarne alcun vantaggio. Proveniva da una famiglia di modeste condizioni economiche. Per conseguire un diploma professionalmente utile credo che studiasse da geometra o perito industriale, ma nutriva un’insospettabile passione per il latino e il greco e, spiazzando tutti, all’università avrebbe voluto iscriversi a Lettere Classiche. Io a calcio ero una mezza schiappa, ma lui quasi m’invidiava ed era sempre ben contento di parlare con me perché facevo il Classico e mi stupiva per come, su certi autori ellenici e romani, volesse sapere e imparare molto più di me. So che poi lo fece, ma non so con quale esito, perché io lasciai la Sicilia. Ogni volta che in TV o negli alberghi vedo questi calciatori apparentemente tutti presi di sé e dei veri o presunti vantaggi che il loro status garantisce loro, penso sempre a quei ragazzi come Rocco che non si sono mai montati la testa soltanto per essere riusciti a prendere a calci un pallone inseguendo glorie effimere, ma che hanno sempre avuto una particolare luce di fierezza, nei loro sguardi, provando a fare della propria vita (proprio così, almeno provarci), non quello che gli altri si aspettavano da loro, ma quello che a loro più di ogni altra cosa premeva: essere se stessi.

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